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IN SCANDINAVIA CON LA SIMCA 1000 – P.4 ..by L. De Dionigi

SIMCA-1000
LE VOSTRE RECENSIONI “ANCORA A STOCCOLMA
Anche se mancano i monumenti di rilievo, trovai Stoccolma una gran bella città: ariosa, ordinata, pulita, altimetricamente mossa, piena di verde e magnificamente distesa tra il mar Baltico e il lago Mälaren, la cui estensione (oltre tre volte il Garda) non è apprezzabile dalla città in quanto si tratta d’un bacino molto articolato e ricco d’isole, penisole e profonde insenature su una delle quali sorge appunto la capitale. La metropoli, pur se edificata sull’acqua come altre città nordiche, è assai diversa da queste: certi scorci rievocano Parigi, Monaco di Baviera o addirittura Torino, ossia città poste a più basse latitudini. Questa l’impressione che ne ebbi mentre - l’indomani mattina - traslocavamo in un altro campeggio, sito da tutt’altra parte, nel quale trovammo una situazione migliore: tanto verde, splendida posizione sulle rive del lago e niente nomadi; per contro era presente un ingente numero di quei “nomadi del sesso fantasticato” fin troppe volte citati. Piantate le tende tentammo una seconda volta la bravata: balneazione nel lago Mälaren! La tentammo anche perché, nelle limpide acque, guizzavano ninfe bionde con indosso bikini che – dalle nostre parti – avrebbero provocato l’intervento del vigile di spiaggia. Ovviamente meduse non ce n’erano ma, al confronto, la temperatura del Baltico a Flensburg era da Caraibi sicché, dopo venti secondi, eravamo già fuor d’acqua tremanti e violacei. In più il cielo si stava rannuvolando. C’eravamo appena rivestiti quando le cateratte del cielo si spalancarono, costringendoci a riparare nelle nostre “cucce” attendendo che spiovesse... Campa cavallo! Fortunatamente due ospitali livornesi - alloggiati in una grande tenda canadese e impietositi dalla nostra situazione - ci chiamarono per farci stare un po’ più comodi e, siccome era ora di pranzo, c’invitarono a preparare qualcosa nella loro tenda. Ingredienti forniti dai livornesi: riso Vialone Nano in quantità, un paio di dadi da brodo, qualche crosta di grana non ancora del tutto ammuffita. Ingredienti forniti da noi: un vasetto di sugo Star al pomodoro, tre formaggini “Tigre” e qualche sottiletta rattrappita. In sostanza quanto bastava per preparare un risotto ai tre formaggi e pomodoro. Lo spazio al coperto c’era, pentola e fornelletto pure quindi chi scrive (l’unico a sapere come si preparava un risotto) si mise all’opera. A fine cottura, osservai: “Sarebbe migliore se potessi completarlo con un po’ di vino.”
Non visto, M m’allungò una pedata: oramai la nostra scorta di Cabernet era agli sgoccioli.
“Noi vino ‘un ci s’ha, però ci s’ha ancora du’ dita di grappa.” disse uno dei livornesi.
“Non è la stessa cosa però si può sempre fare la prova.” dissi.
“O grullo, tira fòri la grappa.”
Non sarò creduto ma – forse a causa del freddo, dell’umidità e dell’appetito – il mio risotto al pomodoro/tre formaggi+grappa ottenne un successone. Pensai quasi di brevettare la ricetta e venderla alla “Knorr” per i suoi famosi liofilizzati. Passammo il pomeriggio nella grande canadese fumando, bevendo grappa (per fortuna le due dita andavano intese in senso verticale), giocando a briscola e chiacchierando con i livornesi circa il solito tema; poi li invitammo a seguirci nel locale segnalato da R. “Ci piacerebbe, ma ‘un s’ha manco un petacchino per gli extra. Quel che ci s’ha basta per pagare du’ o tre notti in campeggio, du’ o tre panini e la benzina pel ritorno.”
“Per cui domani, ragazzi, noi due si rientra a Livorno, ci si sistema, ci si fan dare un tremila lire da’ nostri vecchi e poi di corsa a Viareggio. Là un paio di tope le si rimedia di sicuro, meglio che qua, dove in una settimana ‘un s’è rimediata ‘na sega.”
“Proprio niente?” chiese nervoso P.
“Niente.”
“In una settimana?”
“Maremmaiala! Se t’ho detto niente gli è niente.”
“Io” intervenni “non mi sono mai bevuto la storia delle svedesi che...”
“E chiudi quella fogna!” mi zittì M sgarbatamente.
“Sei ripetitivo!” gli fece eco P altrettanto sgarbatamente.
Intanto il diluvio era cessato, per cui – ringraziati i cortesi ospiti - potemmo ripulirci, indossare i vestiti buoni e partire per il mitico locale lasciando una scia di dopobarba “Proraso”.
Il locale era una grande balera e, nella penombra, scorgemmo una folla di tizi immobili, con gli abiti delle occasioni, i volti bruni, i capelli corvini lucidati dalla brillantina; molti di loro - nonostante ci si vedesse poco - inforcavano “Ray-Ban” a specchio. Tutti ostentavano un’espressione seduttivamente accigliata e misteriosa mentre solo poche coppie ballavano sulla pista. Certamente si trattava d’onesti immigrati da terre mediterranee, i quali trascorrevano una serata nel locale; forse per questo ci sentimmo spaesati. Io ebbi quasi la sensazione di trovarmi sul set del vecchio film “Il Diavolo” con il caro Alberto Sordi (chi non l’ha mai visto se lo procuri: si divertirà e capirà il nostro stato d’animo). “Se rivedo quell’imbroglione di R gli spacco la faccia!” ringhiò M “Guarda che roba: ci saranno almeno quattro uomini per ogni donna.”
“Bada che R l’ha detto: non prometto niente.” obiettò P “Però hai ragione, in più solo una su quattro delle donne è decente.”
Infatti si trattava in maggioranza di mature “mandrugone” in cerca del “macho” latino. “Se non ci fosse da piangere ci sarebbe da ridere... Eccoci servite le famose svedesi che ci stanno con tutti.” commentai “Mi vengono in mente i pifferi di montagna.”
“Che c’entrano adesso i pifferi di montagna?” chiese M.
“Quelli che andarono per suonare e furono suonati.” ghignai amaro.
“Taci, altrimenti la faccia la spacco a te! Tu e le tue battute idiote fate cagare!” sbraitò M.
L’unico motivo che ci trattenne un po’ nel locale è che vi si serviva – sia pure a prezzo stratosferico – della birra; però, una volta bevuta una bottiglietta, ce ne uscimmo in preda a crisi depressiva. Dal momento del nostro ingresso in quella fetecchia di balera era trascorso meno d’un quarto d’ora. La mattina seguente, quando ci alzammo, i livornesi erano già partiti e il tempo era ancora grigio, però non pioveva. Mentre bevevamo il caffè, la nostra attenzione cadde su tre tizi arrivati in camping a bordo d’un taxi dal quale stavano scaricando le masserizie.
TRIUMPH VITESSE '65 Come i tre ci spiegarono in seguito, appena giunti a Stoccolma, alla Triumph “Vitesse” del capo spedizione s’era rotto un giunto (una Triumph guasta? Stento a crederci!), pezzo difficilmente reperibile per cui la riparazione prevedeva tempi e costi non indifferenti. Nota a margine: la “Vitesse” era la versione più lussuosa e potente della “Herald”, già commentata sul sito. Il capo spedizione era E, uno studente colombiano figlio d’un pezzo grosso dell’ambasciata colombiana a Parigi. Si trattava d’un individuo dalla pelle olivastra, i capelli nerissimi, il fisico tarchiato e con grossi occhiali da miope. L’aria bonacciona e il sorriso aperto ne facevano un soggetto simpatico, tanto più che E si rivelò un ragazzo istruito (parlava quattro o cinque lingue), semplice ed educato. Gli altri due erano A, un parigino verace, e J, un cileno che studiava nella capitale francese. Si trattava di due individui dal fisico smilzo e scattante; non erano meno simpatici di E ma ebbi l’impressione si trattasse di due tipini da prendere con le molle. Più precisamente - nonostante il fisico - avevano l’aria di soggetti in grado di sistemare avversari ben più grossi a furia di calcioni, testate, morsi e colpi bassi... non so se mi spiego. Comunque non tardammo a intenderci, anche perché i tre osservavano con interesse la Simca quasi volessero valutarne la capienza. M capì l’antifona e fu così che dopo il pranzo ci stipammo sulla Simca in sei e, dietro consiglio di E (il quale le cose le sapeva e aveva una guida), visitammo il “Vasa Museum”, all’epoca ancora in allestimento ma già di grande interesse. Che cos’è il “Vasa Museum”? Non è questa le sede per dilungarsi per cui invito eventuali interessati a documentarsi su Internet: indubbiamente – ora che l’allestimento è completato – una visita presenta un interesse ancor maggiore. Intanto s’era fatta sera e il tempo, stranamente, teneva, di conseguenza M decise di fare l’ultimo tentativo, ossia una “battuta di caccia” al luna park di Stoccolma, non senza avere riferito ai tre nuovi compari quanto detto da R circa il rischio raggar. I tre non mostrarono la minima esitazione anche perché – ci feci caso solo allora – il colombiano era provvisto di due bicipiti come mortadelle, sicché sospettai che anche lui, sotto un’apparenza tranquilla e bonaria, celasse un caratterino niente male. Confortati dalla compagnia, entrammo al “Tivoli” (omonimo del più famoso “Tivoli” di Copenhagen ma più modesto) e, dopo un giro d’orientamento, constatammo che quasi tutte le fanciulle appetibili erano accompagnate da un moroso formato “Conan”. “Anche qua non si batte chiodo. Comincio veramente a rompermi i gemelli.” disse M dopo avere valutato la situazione.
“Già, meglio andare a nanna.” confermò P sempre più sconfortato. Imboccammo pertanto il viale che menava all’uscita quando... Eccoli! I raggar! In più il viale era affiancato da zone d’ombra e sospettammo - non senza motivo – che vi si nascondessero drappelli di sbirri pronti a entrare in azione con sfollagente in pugno. Tormentato da uno spiacevole tumulto intestinale dissi: “Qui i casi sono tre: o ci lasciamo pestare da quella gentaglia, o ci lasciamo pestare dagli sbirri, o ci lasciamo pestare da entrambi: in tutti e tre i casi finiamo in guardina o all’ospedale.”
“Ma ci sarà pure un’altra uscita.” disse P guardandosi attorno.
“Tu e le tue idee!” rispose M “Così quelli capiscono che abbiamo paura e attaccano subito.”
Quella sera il ruolo dell’eroe toccò al colombiano il quale si piazzò a gambe divaricate - stile Tex Willer - tra noi e i raggar, sfilò gli occhiali da miope, incrociò le braccia sul torace ostentando i bicipiti e squadrò la banda con aria di sfida. Un ributtante trippone che puzzava di sudicio, di birra e di vomito avanzò verso E barcollando e apostrofandolo in inglese (traduco): “Ehi, fottuto terrone (= fucked dago), che hai da guardarci?”
“Dici a me?”
“Sì, proprio a te, merda (= shit)! E lo dico anche alle altre merde che ti tiri appresso.”
Il colombiano avanzò verso l’energumeno, lo guardò impavido negli occhi - resistendo all’alito fetido - gli piantò l’indice nella trippa e disse semplicemente: “Niente risse (= no fight).” Intanto, nelle zone d’ombra, si percepiva un certo fermento e s’intravedeva il bianco di lunghi manganelli e di fondine semiaperte, mentre A e J si tenevano pronti a dare manforte. “Ripeti se hai coraggio!”
“Niente risse, ho detto.” ripeté E con fermezza. L’energumeno proruppe in una sghignazzata oscena e s’allontano berciando: “I soliti terroni codardi... Dai amici, lasciamoli perdere e cerchiamo qualcuno con le palle!”
Fiuuu! All’improvviso il vialone s’animò di sbirri frustrati e delusi. In proposito non vorrei dare l’idea che la Svezia anni 60 fosse uno stato di polizia. Niente affatto: nella democratica Svezia polizia e magistratura sono al servizio del cittadino e servire il cittadino significa anche punirlo quando sgarra, senza tanti sconti e senza guardare in faccia nessuno; lì la legge è veramente uguale per tutti e, se un qualche lestofante osasse ritenersi “più uguale” degli altri, dovrebbe amaramente ricredersi. Tutto qua. Mentre rientravamo al campeggio, E ci spiegò che a Parigi faccende del genere erano all’ordine del giorno e che lui, assieme ad A e J, ne era rimasto spesso coinvolto (ebbi il addirittura sospetto che le zuffe fossero il loro hobby preferito): solo mostrando il passaporto diplomatico aveva risparmiato a sé stesso e ai due scagnozzi le ire della “Gendarmerie Nationàle”. Appena giunti al campeggio io e P ci fiondammo ai servizi... appena in tempo! Augurata la buona notte ai tre nuovi compari, M convocò l’assemblea e decretò: “Chiuso, ragazzi, domani si parte: ne ho veramente le tasche piene! Non si combina un tubo, spendiamo una barca di soldi, mangiamo merda di vacca, abbiamo quasi finito il vino, abbiamo rischiato d’essere malmenati e sbattuti dentro; in più, come non bastasse, c’è un clima del cazzo... Domani in serata voglio essere a Copenhagen, intesi?”
“E perché?” obiettò P “Ci siamo già stati, anche lì non abbiamo combinato un tubo e c’è un clima del cazzo. Aggiungo che non mi vanno i posti dove rischi di scoprire che una bella [CENSORED] è un uomo.”
“A Copenhagen entro domani sera, ho detto! Almeno lì la birra si trova dappertutto e costa meno. Poi staremo a vedere. Chi non ci sta l’accompagno in stazione e buon viaggio!”

INIZIA IL RITORNO
La mattina dopo M s’alzò insolitamente presto: ricordava Napoleone quando dette ordine alle sue truppe di cominciare la ritirata di Russia; stivammo la Simca e salutammo i tre provvidenziali compari. Per la cronaca, P ed E - anche dopo i rispettivi matrimoni – si tennero in contatto e si scambiarono numerose visite; poi i miei rapporti con P cessarono e anche quelli con M, sebbene non del tutto, si diradarono perché così è la vita, di conseguenza non ho più saputo nulla dei tre giramondo capitati a Stoccolma a bordo d’una “Vitesse” in avaria. Non pioveva ma il cielo era imbronciato a 360°: in Svezia, quando il riscaldamento globale non era ancora stato inventato, agosto era già un mese autunnale, e si vedeva. Il clima accrebbe la nostra depressione, la quale raggiunse il culmine quando approdammo sul grande lago Vättern (circa sei volte il Garda). I siti dedicati al bacino lo dipingono come un paradiso per trekking, mountain bike, sport velici, villeggiature eccetera, ma a noi, che provenivamo da una strada alta sul livello del lago, il panorama dell’immesso specchio - che s’estendeva a perdita d’occhio, immoto e circondato da colori resi smorti dal cielo plumbeo - apparve d’una tristezza suggestiva ma opprimente, tanto da farmi sospettare che le voci secondo cui la Svezia deteneva il triste primato dei suicidi non fossero del tutto inattendibili. Dubito peraltro che tali voci fossero vere in quanto, nel nostro paese, alcuni ambienti vedevano la Svezia di malocchio e non perdevano occasione per denigrarla. I clericali sostenevano che in Svezia i suicidi erano tanti per colpa dei costumi linceziosi; in realtà i clericali “masticavano merda” perché la Svezia era fieramente laica e antipapista, e lo è rimasta: non per nulla il papa polacco vi fu accolto con estrema freddezza.
I comunisti sostenevano che in Svezia i suicidi erano tanti per colpa della mancanza di spirito rivoluzionario; in realtà i comunisti “masticavano merda” perché gli odiati “cugini” socialdemocratici seppero creare un modello assai migliore del loro “paradiso” sovietico.
Gli iperliberisti reazionari e fascistoidi (alias tutti gli iperliberisti, non solo quelli nostrani) sostenevano che in Svezia i suicidi erano tanti per colpa del “welfare”, che frustrava ogni stimolo alla “sana” competizione e privava i cittadini dell’esaltante esperienza d’arrabattarsi ogni giorno per mettere insieme pranzo e cena; i realtà gli iperliberisti “masticavano merda” perché in Scandinavia le “sinistre” (una volta tanto) seppero realizzare uno stato sociale efficiente partendo da zero e senza ostacolare la libertà d’iniziativa. Gli iperliberisti U.S.A. degli anni 80, poi, masticarono tanta di quella merda da commissionare l’assassinio d’un illustre e stimato premier svedese, uno dei più grandi politici del secolo scorso (almeno questa la mia opinione). Se tutti gli italiani che s’interessano di politica leggessero queste righe s’incazzerebbero di brutto, ma, siccome nessuno le leggerà, non rischio il linciaggio. In definitiva - e al di là d’ogni colore politico - il benessere e l’efficienza che caratterizzano certe terre si riassumono in un solo nome BUONGOVERNO!!!Ma non divaghiamo.
La pioggia ci risparmiò sino ad Halsingborg, dove giungemmo al tramonto; il cielo, nero come pece, non presentava l’usuale chiarore delle notti scandinave; in più tirava un ventaccio di tramontana e le acque del Sund erano sconvolte da marosi che sballottavano il piccolo traghetto su cui eravamo imbarcati, suscitando una spiacevole reazione nel mio stomaco. Tutt’un tratto - terrificante allucinazione - m’apparve un cavolo semicrudo, motivo per cui dovetti precipitarmi alla murata dove... Bluuuuuuuuurp! Inutile specificare che i due turpi individui risero a crepapelle.

A COPENHAGEN (ARIDAJE!)
Copenhagen ci riaccolse sotto la pioggia battente e solo una breve tregua ci consentì di piantare le tende senza bagnarci fino al midollo; tuttavia ritrovare una buona “Carlsberg” migliorò notevolmente il tono dell’umore. Il giorno seguente nulla di nuovo in fatto di clima: piovaschi alternati a brevi tregue. Verso sera ci recammo in centro ed M propose: “Vogliamo andare al Tivoli?”
“Non t’è bastato quello di Stoccolma?” chiese P.
“Ma và, i danesi sono più tranquilli degli svedesi.”
“E tu come lo sai?”
“Lo so perché sì e basta... E poi guardatevi attorno: è pieno di turisti, di famiglie, di gente perbene ed eventuali raggar non s’azzarderebbero a provocare casini. Andiamo, ho detto.”
Una volta tanto M aveva ragione: al “Tivoli” danese c’erano famiglie con bambini, turisti nipponici, qualche innocuo alcolista, la solita massa di “migranti” latino/mediterranei troppe volte menzionata, ma niente raggar e niente sbirri con manganello, al massimo qualche tranquillo “pizzardone” che non aveva niente da fare. Dopo qualche giro su allucinanti montagne russe, M appariva fiacco e scocciato. “State a sentire voi due:” disse un bel momento “adesso torniamo in campeggio perché sono stanco morto.”
“Ma io no.” disse P.
“E io neanche: la svuotata sul traghetto m’ha rimesso in sesto.” dissi io.
“Allora facciamo così: si va in campeggio, io mi metto a letto e vi lascio la macchina, così potete andare in giro a combinare tutte le cazzate che volete; però, se me la graffiate, sarà meglio per voi sparire e arruolarvi nella Legione Straniera.”
“Non ci posso credere! Ci presti la macchina?” esclamò P allibito.
“Solo per stasera e domani si parte. Intesi?”
“Grazie M, sei un amico!”
Ero e sono tuttora dell’opinione che molti individui siano disposti a perdonarti se ti sbatti la loro donna ma che - se loro ti prestano la macchina nuova e tu gliela graffi - siano pronti ad accopparti con le loro stesse mani. Di conseguenza lasciai che P si mettesse alla guida della Simca graziosamente imprestata dal capo spedizione. Non sapendo dove andare, tornammo al “Tivoli” – in cui regnava ancora una discreta “movida” – e bighellonammo per il parco. Dopo una mezzoretta io e P confabulavamo sul da farsi quando fummo avvicinati da un ometto di mezza età: si trattava d’un tipo affabile il quale ci si rivolse nella nostra lingua: “Buona sera giovanotti. Italiani, vero? E magari cercate compagnia.”
“Beh, possibilmente... Ma lei, abbia pazienza, chi è?” ribatté diffidente P.
“Non perdiamoci in chiacchiere, ragazzi; mi limito a dirvi che sono italiano anch’io ma vivo a Copenhagen da un sacco di tempo, per cui ho un certo fiuto... Che mi dite di quelle due?” chiese additando due ragazze poco lontano. Si trattava d’una bionda e d’una mora, due tipi “beat” - se ben ricordo - ma non chiedetemi cosa significasse essere “beat” perché non sono mai riuscito a capirlo, però le due ragazze lo erano, ossia sembravano seguire la tendenza che precedette di poco il movimento “hippy”. Personalmente sono refrattario alle mode e penso che talune tendenze fossero più che altro una scusa per faticare poco, vestire da pezzenti e apparire “trendy”. Le cose non sono cambiate di molto: anche oggigiorno molti indossano stracci – magari jeans sbrindellati da cui sborda l’agghiacciante elastico delle mutande di firma – solo che si tratta di stracci griffati per cui vestire da pezzenti è diventato molto costoso e, va da sé, faticoso. In sostanza si tratta sempre di roba da tamarri sfigati, ma questo è un altro discorso. “Scusi, a lei che interessa?” chiese un po’ più accomodante P.
“Basta domande, ragazzi. Fidatevi di me e accontentatevi di sapere che quelle due sono interessate a voi due.”
“Dove sta l’imbroglio?” chiesi.
“Ma quale imbroglio? Nessun imbroglio, parola mia.” ridacchiò l’ometto “Allora, che mi dite?”
Guardandole meglio, le due tizie erano accettabili: capelli lunghi, fisico slanciato, volti regolari... Agghindate come si deve avrebbero fatto la loro figura, sicché borbottammo qualcosa di simile all’ obamiano “Yes, we can”; quindi l’ometto fece le presentazioni e infine si dileguò augurandoci buona serata. Chi era quell’ometto? Me lo sono sempre domandato e sono giunto a una conclusione: se esistono i volontari della Protezione Civile, i pompieri volontari, i medici volontari, i volontari autisti della Croce Rossa e via dicendo, perché mai non dovrebbero esistere i ruffiani volontari? In fondo è una forma di solidarietà anche questa. Le due erano tipi socievoli per cui, senza troppi preamboli, le accogliemmo in macchina e ci mettemmo a cercare un posticino appartato... Che dire? Erano altri tempi: tempi in cui due giovani donne danesi potevano farsi scarrozzare da due giovani sconosciuti italiani senza rischiare stupri e due giovani uomini italiani potevano scarrozzare due giovani sconosciute danesi senza temere che le due - in combutta tra loro - simulassero uno stupro per trascinarli in un tribunale danese e rovinarli a vita. Per questo motivo tutto filò liscio, ma fino a un certo punto. Trovammo il posticino appartato, io mi dedicai alla bionda, P alla mora e la ravanata ebbe inizio. Dopo un po’ P m’interpellò: “Tu che conosci l’inglese, sai tradurre cosa dice questa?”
Scambiai due parole con la mora quindi riferii a P: “Dice che non sei malaccio ma prima di fare quella cosa vorrebbe conoscerti meglio.”
“Pure lei! Ma che è? Un’epidemia?... E la bionda?”
“Credo la pensi allo stesso modo: però m’ha chiesto se non potremmo rivederci domani sera.”
“Porca puttana boia! Basta!” esplose P “Sono d’accordo con M. Domani si parte: via da ‘ste terre di merda!”
“What does he say?” chiese la mora, preoccupata dalla rabbia di P.
“Don’t worry, miss. No problem... E il mio appuntamento con la bionda?”
“Se vuoi restare nessuno ti obbliga a seguirci, e poi in due si viaggia più comodi.”
“Questa è violenza morale.”
“Esatto.”
“Allora cedo alla violenza.”
Riportate le due tizie al “Tivoli”, scambiammo con loro ancora qualche “french kiss” di congedo e ci scambiammo gli indirizzi. Poi io e P risalimmo in vettura non senza aver prima gettato in un cestino della spazzatura il foglietto con gli indirizzi.

LA LUNGA “CAVALCATA” VERSO IL SUD
Verso le due del pomeriggio riprendemmo la via del ritorno. Devo dire che rammento poco l’itinerario se non che fu distruttivo: M era stato preso dalla furia di raggiungere il Brennero quanto prima, ma lunga era la strada che conduceva a rivedere il tricolore e lunghe le notti trascorse a bordo della Simca tentando in qualche modo di dormire. Fino alla frontiera DK-D - e anche oltre - seguimmo la medesima via percorsa all’andata; purtroppo il traghetto della JKL portò ritardo causa mare mosso, che peraltro sopportai senza rendere l’anima. Di conseguenza in serata eravamo ancora in terra danese. Due fette di pane spalmate con marmellata di mirtilli costituirono la nostra cena, consumata in uno spiazzo. Lo spiazzo era defilato per cui decidemmo di pernottarvi anche se si trovava vicino a un passaggio a livello. Fu forse per questo che, mentre dormivamo della grossa, io e M sentimmo P urlare: “Sposta la macchina! Presto, idiota! Ci viene addosso!” Le campane e i lampeggianti del passaggio a livello s’erano attivati e un trenino locale avanzava sulla ferrovia, a debita distanza. “Chi cazzo ci viene addosso, pirla?” sbraitò M.
“Eh... oh... cosa? Ho avuto un incubo. Sembrava proprio che il treno ci travolgesse.” spiegò P.
“Rimettiti a dormire, coglione!”
Più a sud abbandonammo l’itinerario dell’andata e ci portammo verso la frontiera con la DDR, su una statale che - a detta di M - avrebbe ridotto la percorrenza. Diluviò tutto il giorno, il percorso consisteva in un budello poco trafficato ma sconnesso, pieno di curve come la strada dello Stelvio e interrotto da frequenti deviazioni che sfioravano la “cortina di ferro”. Vedemmo distintamente i reticolati e le torrette dei famigerati “Vopos”, vedemmo elmetti, binocoli, fucili di precisione e mitragliatrici con colpo in canna, tanto che P, impaurito, disse: “Speriamo che quei fottuti guerrafondai non ci piglino per spie, altrimenti ci sforacchiano... Tu e la tua maledetta fretta di tornare! Proprio questa strada da capre dovevi prendere!”
“Taci, mona!”
Verso sera, in un “Imbiss”, mangiammo “hot dog” con senape accompagnati (finalmente!) da buona birra e ci preparammo alla seconda notte all’addiaccio, mentre Innsbruck - anticamera dell’Italia - era ancora dannatamente lontana. Il luogo scelto fu un altro spiazzo tra i canneti, in riva a una palude. Fu forse per questo che, mentre dormivamo della grossa, io e M sentimmo P urlare: “Tira il freno a mano! Presto, idiota! Non vedi che finiamo in acqua?”
“Il freno a mano è tirato e siamo fermi come sassi, pirla!”
“Eh... oh... cosa? Ho avuto un altro incubo. Sembrava proprio che stessimo scivolando nell’acqua.” spiegò P.
“Rimettiti a dormire, coglione!
A Norimberga, in serata, imboccammo la sospirata “Autobahn” che scendeva a Monaco e quivi assistemmo a un esodo quasi biblico: non c’era area di servizio, piazzola d’emergenza, parcheggio che non fosse stipato d’automezzi, roulotte, furgoni, perfino vecchi autobus, in cui migliaia di vacanzieri nordici - uomini, donne, vecchi, bambini, cani, gatti - tentavano d’appisolarsi nonostante l’intenso traffico diretto a sud mandasse un rombo ininterrotto e assordante. “Qui mi sa che se vogliamo dormire dobbiamo uscire dall’autostrada.” decretò M. Appena fuori dall’autostrada c’era buio pesto, per cui ci piazzammo nel primo slargo illuminato dai fari della Simca. Prima di dormire M ammonì P: “Attento a te: basta con gli incubi altrimenti sfascio la chitarra di Ciano su quella testa di cazzo che ti ritrovi!”
“La chitarra è a tua disposizione.” biascicai insonnolito “Adesso però vedete di chiudere il becco.”
“Che coppia di stronzi!” concluse P addormentandosi.
Se non altro, quella terza notte all’addiaccio trascorse tranquilla e l’indomani alle sedici eravamo a Innsbruck. Nella circostanza P dichiarò: “Ormai manca poco, stasera mi pappo una tripla carbonara fatta da mammina con le sue mani.” Le ultime parole famose... All’epoca “Brennerautobahn” e trattati di Schengen erano pura fantascienza. Pochi chilometri dopo il capoluogo tirolese cominciava il lungo calvario che i vacanzieri dovevano affrontare prima di giungere in terra italiana; M imprecava come un ossesso contro “quei bastardi di doganieri”... e intanto pioveva a catinelle. Oggigiorno code di quattro ore sono cosa normale ma all’epoca significavano crisi da stress, frizioni bruciate, bestemmie, autoradio a tutto volume, tedesconi che uscivano dalle loro AutoDiMerda e - sotto la pioggia, in mutande leopardate - controllavano se il lungo serpente accennava a muoversi, eccetera. Comunque alle venti la frontiera A-I era superata e, verso le ventuno, ci trovavamo a Vipiteno davanti a tre pizze “alla tutto” e a una bottiglia di “Sylvaner” fresco e fruttato, cui seguirono altre due gemelle. Dopo le grappe corrette caffè, M chiese: “Come siete messi a quattrini?”
“Tutto sommato potrebbe andare peggio.” risposi io.
“Neanch’io sono messo male.” rispose P “Perché questa domanda?”
“Sentite, avrei pensato che un paio di giorni al mare non guasterebbero: ci diamo una ripulita, ci asciughiamo, ci rilassiamo dalle fatiche del viaggio poi, se capita...”
“A me sta bene tutto, tranne l’ultimo paragrafo” disse P “Sono sfinito e ho il testosterone azzerato.”
“Anche a me sta bene,” feci eco “però non mi si parli di rimorchiare per almeno, diciamo, una settimana.”
“Allora tutti a Jesolo.” disse P.
“No, tutti a Lignano Pineta.” rispose M.
“Perché proprio a Lignano Pineta? È più lontano.”
“Perché lo dico io e basta. Se non ti va, la ferrovia è a due passi.”
“Fanatico, bastian contrario e pure autocrate!” ringhiò P.
“Che significa autocrate?”
“Non lo so, ma so che tu lo sei e sei pure un po’ stronzo!”
“Sveglia gente, un ultimo sforzo! Paghiamo che si parte.” decretò M.
La solita mania di trovare scorciatoie - che poi tali non erano – suggerì a M di raggiungere la stazione balneare friulana attraverso le Dolomiti per cui, più a sud, imboccammo la val Gardena flagellata dalla pioggia eccetto che nella parte più alta dove – sui primi tornanti di Passo Sella - ci trovammo avvolti da una tormenta. M era un eccellente guidatore ma la Simca qualche qualità doveva pur averla se - nonostante fosse una “tutto dietro” - non accennò a testacoda e sbandate varie sull’insidioso straterello ghiacciato formatosi. Superati i passi Sella e Pordoi m’appisolai mentre M seguitava infaticabile e quando mi ridestai, verso mattina, eravamo dalle parti di Pordenone. Un’ultima coda ci attendeva sul lungo rettifilo che unisce Latisana a Lignano ma ormai era fatta e il tempo s’era finalmente messo al bello stabile.

A LIGNANO PINETA
Mentre - nella baracca all’ingresso del campeggio e ancora in abiti da temperature polari - attendevamo di registrarci, avvertii un acuto tanfo da caprone; lascio immaginare quale fu il mio imbarazzo quando m’accorsi che quel tanfo era emanato da noi tre! Piantammo le tende, indossammo il costume da bagno, una bella doccia, qualche porcata messa assieme raschiando il fondo della cambusa comune e poi “Ronf, ronf” sotto i pini fino a sera. Programma della serata: aperitivo sulla “Terrazza a Mare” poi si vedrà. Dopo l’arrivo di spritz, patatine e olive, P ruppe il silenzio: “Che vacanza di merda!”
“Cosa dovrei dire io, allora?” saltò su M “Che ho dovuto scarrozzare e sopportare due finocchi imbranati per venti giorni... Ah, se non ci fossi stato io... Ma di che ti lamenti poi? Se non sbaglio la vostra ravanata ve la siete fatta anche voi. Una ravanata per uno non fa male a nessuno, o no?”
“Già, ma una sola, miserabile ravanata non è precisamente il massimo.” intervenni “E poi pensavo che ravanata significasse qualcosa di più.”
“Quante storie! Voi due mi fraintendete sempre: non capite un cazzo!... Che ne dite d’un giro di Moretti scure alla spina?”
“E vai!”
Dopo le “Moretti” il bilancio dell’avventura cominciò a sembrarmi meno deprimente e ancor meno deprimente m’apparve dopo avere accertato che alla “Terrazza” tenevano del buon “Verduzzo di Ramandolo” fresco, abboccato e frizzante. “Bah, sarò anche un babbeo” sentenziai dopo il primo bicchierozzo “ma io, tutto sommato, mi sono divertito. Però mai più mi metterò in viaggio con certe fisse in testa. Secondo me un viaggio vuol dire tante cose: gusto della scoperta, stimoli culturali, vedere facce nuove, imparare l’arte d’arrangiarsi, adattarsi a convivere con due scorreggioni... Certo, se ci scappa l’avventuretta tanto meglio, ma se non ci scappa va bene lo stesso. Prometto che d’ora in poi mi regolerò così o peste mi colga!” dichiarai ingollando il terzo bicchierozzo. Peste non mi colse e qualche avventuretta, nel mio piccolo, ci scappò. Ma questa è un’altra storia. “Quando sei stufo di sparare stronzaggini fammi un fischio.” commentò P.
M appoggiò la mia tesi: “No!” intervenne “Una volta tanto Ciano ha detto la cosa giusta... Miracolo o caso?”
“Contenti voi...” disse scettico P “Piuttosto, visto che siamo vicini alla Jugoslavia...”
“No P, la Jugoslavia te la puoi scordare: non ci andiamo e basta, cazzo!” rispose M.
“Lasciami finire, cornuto! Visto che siamo vicini alla Jugoslavia mi chiedo se qui non abbiano per caso dello sliwowitz, magari ghiacciato.”
Per caso lo “sliwowitz” ghiacciato c’era e, dopo il secondo giro, il malumore di P si sciolse come per incanto per cui, con occhi lucidi e voce impastata, dichiarò: “Certo che, se ripenso alla volta che tu...” E giù una risataccia.
“Perché, quella volta che tu...” rispose M.
“E quella volta che lui...”
“E quella volta che io...”
“Minchione!”
“Culattone!”
“Puzzone!”
E giù a ridere sgangheratamente. Quella sera gli avventori della “Terrazza” assistettero all’indecoroso spettacolo di tre giovani cialtroni che bevevano e ridevano, ridevano e bevevano come etilisti incalliti davanti a un tavoli zeppo di bottiglie e bicchieri vuoti o in procinto d’essere vuotati. E quella fu l’ultima nostra figura di merda...
SIMCA 1000 Prima di concludere, e tanto per restare sul tema delle AdM, faccio notare quanto poco sia stata citata la “Simchetta”; il motivo è semplice: non ci procurò il minimo grattacapo e, se il viaggio non risultò troppo confortevole, fu perché l’avevano stipata come una carovana di profughi. Dopo tre anni la vettura fu degradata ad auto aziendale e, nonostante la guidassero cani e porci raggiunse, sempre senza grossi problemi, i 200.000 chilometri d’onorato servizio.
Così è, se vi pare.”

[Terza Parte]                                                                

Recensione inviata da Luciano De Dionigi di Padova

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17 Commenti

ANhIMA ha detto...

Un grazie affettuoso a Luciano per il suo amarcord come sempre interessente e appassionante. Ricordi, sogni e riflessioni che nonostante gli anni passati sono sempre attualissimi. Anche un modo per ricordarci di come le Auto che accompagnano ormai la nostra esistenza si possano a volte amalgamare con le persone rendendosi quasi "vive" e non certo permalose se ogni tanto qualcuno osasse definirle scherzosamente "AutoDiMerda".

Anonimo ha detto...

Insomma, non trombaste.

Anonimo ha detto...

grande mezzo trombanteeeeeeeeee

pietro mastroleo ha detto...

Non mi meraviglia che il Signor M agisse i perfetta simbiosi con la simchetta; altrettanto
abile, con la stessa auto, lo era un mio amico nel fare rally campagnolo di tutto rispetto. Oltretutto,la tenuta di strada migliorava incredibilmente abbassandone l'assetto di pochi cm; quindi Voi, viaggiando a pieno carico....

P.S.ovviamente ho votato carina(al diavolo il voto segreto)
RI P.S.
Ho lasciato qualcosa sul forum

mezzotoscano ha detto...

@ anonimo delle 12.07
Beh, mi sembra sia chiaro ma - siccome nel 1965 non era tanto facile, neanche in Svezia, tr... (gratis) di primo acchito - "mal comune mezzo gaudio", come si suol dire. Poi, grazie alla pillola e al '68, le cose sono cambiate e ci siamo rifatti... ma questi sono affari nostri, se permettete.
Spero comunque che, a parte il "no trombing", il rapportino sia stato di Vostro gradimento.

Anonimo ha detto...

son l anonimo delle 12e 07
ma almeno gli taccasti le tette???

ANhIMA ha detto...

Ahahah.. Se lasci la tua mail a Mezzotoscano ti manda un disegnino.

mezzotoscano ha detto...

@ il solito anonimo curiosone (curiosità lecita: in fondo il sasso in piccionaia l'ho lanciato io)

Un gentiluomo come me non entra mai in dettagli troppo scabrosi. Tuttavia, se ben ricordo, erano belle sode, e qui mi fermo,in quanto 44 anni non sono bruscolini e la memoria è quella che è.

In proposito sarei molto grato verso chi si fosse recentemente recato in Scandinavia e illustrasse se e quanto le cose sono cambiate.

Per questo esiste apposta il Forum...

P.S. Per la precisione bisogna dire "LE toccasti le tette", al femminile, non "GLI"... Non ero e non sono ancora passato all'altra sponda.

Anonimo ha detto...

son sempre l anonimo
ma sode come ??? scusa

Anonimo ha detto...

ecco il mezzo toscoemiliano s e offenduto.............

mezzotoscano ha detto...

Non mi sono affatto "offenduto", solo che - in quella circostanza - non disponevo dell'apparecchiatura per misurare la durezza (Vickers? Brinell? Rockwell?) d'un paio di zinne, per cui non posso essere preciso come vorrei.
Scusate un'obiezione: ma qui parliamo di AutoDiMerda o di ZinneDure? Non è che stiamo andando fuori tema?

Anonimo ha detto...

gran bel racconto complimenti... la Simca 1000 mi ha sempre riluttato ma dopo questo racconto devo dire che inizia a piacermi anche la Simca...:)

mezzotoscano ha detto...

Grazie, anonimo delle 3.18.
Però va precisato che all'epoca, per la maggioranza, la macchina non era considerata un fine ma un mezzo ANCHE per divertirsi.
Oggi è ancora così? Non ne sarei certo.
Per questo, se si trattava di divertirsi, pure le AdM potevano andar bene. ;-)

Anonimo ha detto...

Grazie per il tuo racconto.Mi ha divertito e mi ha fatto tornare indietro nel tempo, negli anni sessanta, quando, guarda il caso, con la mia simca mille e due amici, stronzi come i tuoi, ho vissuto avventure ed esperienze molto simili alle tue.
Grazie ancora

Anonimo ha detto...

Bellissima storia!Mi sono sbellicato dalle risate!

Anonimo ha detto...

Anch'io e 3 amici nel 1976 siamo andati in Svezia, poi fino ad Oslo, pero' con una Dyane 6.
Leggendo il tuo racconto, ho rivissuto il nostro viaggio, stesso tempo di merda e stesso cibo di merda, andavamo a mangiare in ristoranti italiani e ci costavano un occhio.
A Copenaghen anche noi abbiamo fatto il bagno !
Volevamo arrivare a Capo Nord, a quei tempi era un " must ", ma ad Oslo ci siamo rotti......
Lo scopo " ufficiale " del viaggio era di andare a trovare un amico a Stoccolma, ma sotto sotto......
Condivido anche tutti i tuoi vari pareri " politici "...
Ciao
Ginio

Anonimo ha detto...

Rettifico, era il 1977.
Come mai non avete visitato la fabbrica della Tuborg ?
Ci siamo presi una ciocca....che a momenti non vedevamo
neanche la Sirenetta.....

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