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HILLMAN IMP ..by Luciano De Dionigi

HILLMAN IMP
LE VOSTRE RECENSIONI “All'inizio degli anni ‘60 due dirigenti della Rootes, Lord Bottomkisser (Baciaculi) e Sir Fartsniffer (Fiutapeti), colti da simultaneo attacco di demenza precoce compulsiva accompagnato da gravissima incontinenza fecale, decisero di far progettare un modello in grado di contrastare il crescente successo della Mini. Le direttive impartite ai tecnici furono:
- Non scopiazzare la vettura di Issigonis, mission not IMPossible in quanto, agli esordi, la Mini era una vera fetecchia, poi però ebbe successo soprattutto perché, nel corso della sua lunga esistenza, venne sempre venduta a un prezzo non remunerativo, altrimenti sarebbe stata rifiutata dal mercato, il tutto grazie a pubbliche sovvenzioni e alla faccia della libera concorrenza: in sostanza nessuna Mini inglese rese mai quanto fu speso per fabbricarla.
- Non realizzare una bubble car (ovvero una di quelle vetture a basso costo e di modesta qualità che s'andavano diffondendo in Inghilterra dopo la Crisi del Canale di Suez e che, nel tempo, segnarono la definitiva estinzione dell’industria automobilistica autenticamente britannica).
Il progetto quindi partì da premesse opposte a quelle della Mini e anche della naturale evoluzione tecnica di cui la stessa Mini (questo merito le va riconosciuto assieme alla Citrően Traction) fu antesignana: la trazione ed il motore vennero infatti collocati posteriormente. Anche il propulsore, un 4 cilindri in linea, completamente in lega d'alluminio, con distribuzione ad albero a camme in testa, di 875 cc, progettato dalla Coventry Climax (che non significa “climaterio” anche se si può pensarlo), e la sospensione posteriore (a ruote indipendenti con bracci oscillanti triangolari uniti da barra di collegamento) adottavano soluzioni particolarmente raffinate onde tentar d’impedire la naturale tendenza delle ruote a involarsi.
La linea, a 3 volumi e 2 porte, suggerita da quella “a saponetta” della Chevrolet Corvair (che, oltre a camuffare un sarcofago semovente, ispirò innumerevoli ciofeche, perfino in URSS), e il livello di finitura completavano l'opera, per il resto improntata a soluzioni più classiche, come i freni a tamburo su tutte le ruote ed il cambio manuale a 4 marce senza sovrapprezzo.
La IMP venne presentata nel 1963 ma fu giustamente ignorata ovunque, tranne che in Inghilterra i cui cittadini, si dice, sono dotati di spirito critico solo nei confronti di tutto ciò che non è autenticamente inglese: in altri termini, per un inglese DOC perfino gli spurghi di fogna inglesi olezzano di gelsomino. Però, siccome a tutto c’è un limite, anche gli inglesi DOC non cagarono più di tanto la loro creatura.
Invece di poter ampliare il proprio stabilimento di Ryton per assemblare la nuova IMP, la Rootes fu costretta, da un decreto governativo a sostegno delle aree economicamente depresse, a costruirne uno nuovo a Linwood in Scozia, fatto che (contrariamente alle aspettative del governo) mobilitò i movimenti secessionisti scozzesi, i cui rappresentanti più illustri, vestiti come “Braveheart”, esibirono le chiappe davanti al nuovo stabilimento. La vettura non ebbe successo, sia per la linea (squadrata e un po' goffa, vagamente simile a quella della NSU Prinz, il che è tutto dire) che per la scarsa affidabilità e qualità costruttiva, dovuta all'inesperienza produttiva del personale di Linwood (tradizionalmente dedito all’allevamento di ovini; fosse stato dedito all’allevamento di porcelli forse le cose sarebbero andate meglio) ma soprattutto alla tradizione, che faceva delle vetture inglesi un’autentica pacchia per gli autoriparatori (con le dovute eccezioni, beninteso). “

Recensione inviata da Luciano De Dionigi di Padova

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4 Commenti

Anonimo ha detto...

però poi era uscita la versione potenziata. la famosa hillman impOTENTE.

luciano ha detto...

Forse, con un po' di di Viagra...

Anonimo ha detto...

... diventa una DAF

luciano ha detto...

Beh, francamente sono perplesso: se ci fu un'auto "al bromuro" questa era proprio la DAF, almeno a mio modesto avviso.

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