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  • Esistono gli extraterrestri? Sono venuti o ce li hanno mandati? Scoprilo su AUTOdiMERDA.
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Non è necessario aspettare Halloween per vedere in giro delle zucche vuote... e delle AUTOdiMERDA!
In Evidenza

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CITROEN C3 PICASSO

TRANSFORMERS Alla fine del 2008 è stata presentata la versione monovolume, o meglio space-box, della Citroën C3 sulla scia degli enormi successi che il nuovo segmento delle scatole spaziose, spacciate come auto, sta riscuotendo. La C3 Picasso va ad occupare una fascia di mercato in cui si troverà a dover contrastare modelli di spicco come la Opel Agila, la Lancia Musa, la Nissan Note, la Renault Modus e il monoporta Whirlpool da 320 lt. Molto particolare e ricercato è il disegno del muso con fari dotati di un'appendice sul lato superiore e di un’ernia iatale su chiunque lo osservi (da qualunque lato). I fari posteriori invece sono di forma allungata ed a sviluppo semaforico, così come verticale è anche l'andamento della coda stessa, soluzione volta ad ottimizzare la capacità di carico del bagagliaio e di scarico dello sciacquone. Sarà il primo modello della Casa a sfoggiare il nuovo logo, in occasione dei 90 anni dell’arteriosclerotica Citroën (che ancora non è schiattata), caratterizzato da due nuovi boomerang trancia coglioni al posto dello storico Double Chevron.

CITROEN C3

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STEYR PUCH HAFLINGER ..by L. De Dionigi

STEYR PUCH
LE VOSTRE RECENSIONI “Lo Steyr-Puch 700 AP, più conosciuto con il nome di “Haflinger” (nome in tedesco d’una razza equina alto atesina, in lingua italiana Avelignese), fu un veicolo austriaco estremamente leggero ed essenziale, studiato per operare su strade di montagna. Venne studiato principalmente per operazioni militari e le sue caratteristiche d'agilità, grazie ad una lunghezza di 2,85 m e ad una larghezza di appena 1,35 m, furono assai apprezzate; la produzione andò dal 1959 al 1974 e fu di circa 16.600 esemplari. Era motorizzato da un piccolo bicilindrico di 643cc e dotato di trazione integrale. Tuttavia - per le sue caratteristiche e la sua praticità - oltre che dai militari, fu assai apprezzato anche nelle valli austriache e altoatesine, in particolare da boscaioli (per trasportare a valle il legname), da fienaioli (per trasportare nelle stalle il fieno degli alti pascoli) e da caccaioli (per trasportare il letame negli orti di montagna). Chi percorra quelle valli potrà vederne ancora qualcuno tenuto con cura dal proprietario e da lui appropriatamente usato come mezzo da lavoro.
Per questo definire l’Haflinger un’ AdM appare improprio: sarebbe come definire AdM un trattore Landini “Testa Calda” o una motozappa... Assurdo! Ebbene, il motivo per cui si propone questo mezzo sta nel fatto che, purtroppo, già in quegli anni la mala pianta dei fuoristradisti dilettanti (o aspiranti tali) aveva cominciato a diffondersi, e le varie “Suzukine” non erano ancora apparse sul mercato, il quale - tranne mezzi costosi tipo “Land Rover” e “Campagnola”, più qualche vecchia, assetatissima Willys o “Matta” da restaurare o restaurata alla meglio - offriva ben poco a chi disponesse di modeste risorse pecuniarie: Citroën "Sahara" (ideale per fuoristradisti afflitti da stipsi, sebbene meno peggio di quanto si pensi), Ferves “Ranger” (un “oggetto misterioso” citato anche nel Forum), più pseudo fuoristrada a due ruote motrici, tipo Savio “600 Giungla” sulle cui qualità “off-road” è meglio stendere un velo pietoso (altri mezzi non mi vengono in mente, ma sarò grato se qualche “aficionado” mi rinfrescherà la memoria in materia).
Quindi, a un limitato numero d’aspiranti fuoristradisti con tasche non troppo fornite, l’Haflinger sembrò una vera pacchia, anche se la scelta sapeva tanto di “Vorrei ma non posso”; non come adesso che il principio sembra essere “Potrei ma non voglio”, ovvero “Chi cazzo me lo fa fare di portare fuori strada il mio SUV da 60.000 euro, che finirò di pagare nel 2050? Magari si sporca, si striscia, s’ammacca, oppure mi parte la centralina su qualche mulattiera di merda e devo mandarlo a recuperare con l’elicottero da carico... Tié” I guai per gli acquirenti cominciarono quando si resero conto che l’Haflinger non era mezzo da esibire ad amici e sbarbine (termine attualmente sostituito da “aspiranti veline”) del “Caffè Centrale”, bensì un mezzo da lavoro, rustico e ben realizzato, ma niente più: sicché, invece di fare la figura dei fighetti, i tapini fecero la figura dei buzzurri e fu perciò che il mezzo scomparve rapidamente dalle vie cittadine per tornare - giustamente - tra malghe, alpeggi e rifugi.
Morale della recensione: più che il mezzo -il quale, come detto sopra, non è il caso da citare tra le AdM - bisognerebbe pigliare per i fondelli certe fisse e certi automobilastri che, invece di diminuire, aumentano a vista d’occhio. Del resto questo è il messaggio subliminale del sito.. o no?”

Recensione inviata da Luciano De Dionigi di Padova

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RILEY ELF / WOLSELEY HORNET



RILEY ELF

GRAN BRETAGNA La Riley Elf e la Wolseley Hornet furono il risultato di un' unica flatulenza devastatrice da cui partorirono due mini cilindri solidi di sterco con profilo e volume identici a riprova del detto "l’unione fa' la forza". Riley e Wolseley erano due prestigiose Case automobilistiche inglesi nate ad inizio secolo scorso e specializzate in auto sportive e di alta gamma che dopo diversi problemi finanziari ad inizio anni ‘50 furono assorbite dalla grande famiglia incestuosa  della British Motor Corporation: l’unico gruppo industriale al mondo che si faceva concorrenza da solo nonostante fosse riuscito a raggruppare una decina di brand con reti di vendita autonome ed indipendenti.. ma purtroppo non per volontà della BMC. Ciò influenzò MORRIS MINI MINOR 1959 anche la travagliata storia della gloriosa Mini prodotta dal 1959 ad oggi, con vari marchi e da vari costruttori, sia in Inghilterra che in altri paesi (fra cui l'Italia). Quello che forse è sfuggito a molti è che per alcuni anni ne fu proposta anche una versione 3 volumi (1961-1969) con tanto di coda e pinne, pensata per mini famiglie che avessero avuto bisogno di un bagagliaio più capiente nel quale nascondersi ed evitare così un linciaggio di massa. Le differenze tra la Riley Elf e la Wolseley Hornet erano pressoché minime e riguardavano le finiture più lussuose e la plancia in legno sulla Elf rispetto alla più economica Hornet. Lo scarabocchio stilistico deformò anche il frontale con una calandra questa volta a sviluppo verticale: l’operazione “distruggiamo un mito” era stata portata a termine. Dopo un anno dal suo lancio il motore 4 cilindri fu potenziato passando da 848 cc. (33 cv) a 948 cc. (38 cv), ma si dovrà attendere il 1964 per avere le mitiche sospensioni hydrolastic. Con l’ultima serie del 1966 le portiere non saranno più incernierate a vista e saranno montati sul cruscotto dei bocchettoni d’aria fresca preconfezionata. Gli optionals disponibili erano i pneumatici bianchi al fluoro attivo, la radio, le cinture di sicurezza, il posacenere, gli specchietti ad ala di piccione e il bloccasterzo, ma solo per i modelli da esportazione: in madrepatria sarebbe stato superfluo perché è risaputo che in Inghilterra nessuno rubi.. eventualmente prende solo in prestito (tipica freddura inglese). Dopo una produzione di circa 30.000 vetture per ciascuno dei due marchi, nel 1969 si chiuse anche questa straziante parentesi stilistica made in England della quale probabilmente si poteva fare a meno. Con la costituzione della British Leyland la piccola Mini 3 volumi fu sostituita da un’altra squilibrata erede che nonostante la soppressione della coda non venne MINI CLUBMAN 1969molto apprezzata a causa di una pessima armonizzazione tra il frontale  squadrato e la classica coda tondeggiante; era la Mini Clubman. La Riley scomparve gradualmente dagli almanacchi e fu acquistata dalla BMW che oggigiorno utilizza il marchio come fermacarte, la Wolseley invece è passata sotto la proprietà di una società cinese per la produzione di ricambi auto (deodoranti, ricariche e diffusori, spray lucida cruscotto..). Come dire.. Mal comune, mezzo gaudio.


riley elf

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”Vendo Wolseley Hornet III 1000 del 1968. Doppio colore verde speranza e verde senza speranza, completa di autoradio d’epoca con frontalino da 30 Kg. Le sospensioni sono le Hydrolastic.. quindi divertimento puro (regalo comunque due caschi antinfortunistici).”

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MASERATI BITURBO ..by Luciano De Dionigi

MASERATI BITURBO
LE VOSTRE RECENSIONILa Biturbo fu un'autovettura prodotta dalla Maserati tra il 1982 ed il 1996. Voluta da un noto costruttore automobilistico perennemente sull’orlo d’una crisi di nervi e della bancarotta, il quale - credendo di fare il colpo grosso - nel 1976 s’era fatto rifilare dalla Citroën la Casa del Tridente, la Biturbo avrebbe dovuto essere il modello dei grandi numeri grazie al prezzo competitivo (poco più di 22 milioni di Lire al lancio), tanto che ne fu prevista una produzione d’almeno 5 mila esemplari l'anno.
L'obbiettivo - dopo l'iniziale entusiasmo di clienti facoltosi ma dediti ad alcol e droghe pesanti - non fu mai raggiunto in quanto si manifestò qualche problema d’affidabilità (ci furono casi di Biturbo che presero fuoco... eeeh vabbè, che sarà mai?) provocato dalla superficiale progettazione della vettura: infatti il costruttore intendeva accelerare i tempi di presentazione del modello in Nordamerica ed evitare così pesanti punizioni da parte d’un reggimento di “cravattari” che lo attendevano sotto casa (ormai in cassa aveva 1260 Lire, tre bottoni di madreperla e un’immaginetta di santa Brigida). La situazione fu aggravata dalla ladronesca politica commerciale (poche settimane dopo il lancio il prezzo fu portato di colpo a oltre 26 milioni di Lire, e allora il prezzo non era riferito al momento della prenotazione ma a quello della consegna), per cui un raffreddamento degli entusiasmi fu inevitabile. Come non bastasse, le finiture - molto appariscenti - si rivelarono una ca**ata pazzesca.
Caratterizzata da una classica linea coupé a 3 volumi e da una impostazione tecnica tradizionale (motore anteriore longitudinale, trazione posteriore, sospensioni anteriori a ruote indipendenti, retrotreno a bracci oscillanti e impianto frenante con dischi davanti e dietro), la "Biturbo" venne lanciata nel 1982. Il motore, un V6 con 2 alberi a camme in testa e alimentazione a carburatori derivava da quello della Merak, da cui differiva per il numero di valvole (3 per cilindro anziché 2... Che pitoccheria! I 3 valvole per cilindro sono i tipici propulsori “vorrei ma non posso”) e per il raffinato sistema di sovralimentazione composto da 2 turbocompressori (uno per bancata); tale scelta fu suggerita dal seguente ragionamento: se se ne scassa uno, rimane sempre l’altro... peccato che si scassassero in sequenza tutti e due con conseguente falò, come riportato sopra. La cilindrata era di 2491cc per i mercati esteri e 1996cc per l'Italia (dove c'era l'Iva pesante per le cilindrate oltre i 2 litri), ma la potenza rimaneva abbastanza simile: 192cv per le 2500 e 182cv per le 2000.
Per far fronte alla produzione prevista (35 esemplari al giorno) solo motore e sospensioni venivano assemblate alla Maserati di Modena; il resto della vettura era prodotto alla Innocenti di Milano Lambrate (e questo spiega molte cose). Nel 1984 venne presentata la Biturbo S, con motore 2 litri potenziato grazie all'adozione di un intercooler - pronuncia in[ter]culer - che permetteva d’aumentare la pressione dei turbocompressori e ridurre la durata dei medesimi; la vettura era caratterizzata da interni con finiture diverse (tessuto pseudo Missoni prodotto in Bangladesh, diversa strumentazione, ecc.) e livrea più sportiva (mascherina a nido d'ape nera, cornici dei vetri brunite, cerchi fucinati, prese d'aria sul cofano motore, alettone posteriore, paraurti e fascioni laterali neri con minigonne, in pratica un’imitazione molto più dispendiosa della famigerata 127 Sport). Dopo vari restyling e la presentazione d’altri modelli e altre motorizzazioni (che tuttavia non riuscirono a tirare la Maserati fuori dal pozzo nero in cui era precipitata) il costruttore rammentò d’essere stato abile venditore ambulante di pitali in ferro smaltato presso le popolazioni della Pampa, professione esercitata quando ancora operava nella natia Argentina (ci fosse rimasto!), tanto abile che nel 1989 la Maserati fu appioppata a Mamma Fiat, la quale dovette ricorrere ai tradizionali “amici degli amici” per ottenere i non meno tradizionali finanziamenti pubblici con cui far fronte alla conseguente crisi.
Oggigiorno, sebbene non siano restati in circolazione molti esemplari di Biturbo (in quanto i pochi esemplari salvatisi dall’autocombustione furono arsi vivi dagli esasperati possessori durante sabba notturni a base d’amfetamine), la loro quotazione è molto bassa, arrivando a toccare punte minime di 1000 euro per un esemplare "vissuto" (più giusto sarebbe chiamarlo “miracolato”). Ciò è dovuto alle eccessive spese di consumi-manutenzione (media di 6 km/l di carburante), nonché della difficoltà d’approvvigionamento dei ricambi, sempre molto costosi, e non ultimo dal fatto che le linee squadrate fanno della Biturbo un modello ormai superato ed obsoleto... praticamente un cesso d’epoca.”

Recensione inviata da Luciano De Dionigi di Padova

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TUCKER TORPEDO



tucker sedan

U.S.A La Tucker Torpedo sedan era la seconda auto di Batman usata prevalentemente dalla moglie per fare la spesa di tutti i giorni o accompagnare i bambini a scuola. Progettata nel 1947 da Preston Tucker, un piccolo genio incompreso americano, inventore di tecnologie avanzate e già noto alle forze dell’ordine per aver proposto nel 1938 all’esercito degli Stati Uniti un panettoneTUCKER TIGER ARMORED blindato da corsa noto come Tucker Tiger Tank armato con  mitragliatrici calibro .30 / .50 e un cannone antiaereo montato in una torretta girevole in vetro antiproiettile che sputava chicchi di uvetta al piombo a 180 km/h. La risposta del governo americano fu: “Resti in attesa per non perdere la priorità acquisita”. Nel ‘46 Tucker, dopo aver aspettato 8 anni con la cornetta del telefono in mano, incominciò a sospettare che il suo progetto fosse stato rifiutato, anche perché la guerra era già finita da un pezzo. Decise quindi di fondare la Tucker Corporation per la produzione di automobili civili con una impostazione decisamente innovativa sia sotto il profilo meccanico che del design, dell'aerodinamica e della diarrea controvento. La primaTORPEDO CONCEPT 1946 proposta indecente, fortunatamente scartata, arrivò dal designer George Lawson nel 1946, l’anno dopo Lawson fu crocifisso. Le specifiche iniziali prevedevano un motore posteriore trasversale di 9650 cc con un regime di rotazione di poco più di 1000 giri per garantire silenziosità e benessere anale, i freni con l’ernia al disco, l'alimentazione ad iniezione purgativa e soluzioni per la sicurezza attiva, passiva e contraccettiva molto avanzate per l'epoca. Il progetto era ambizioso e solo una parte di queste specifiche venne adottata. Il designer Alexander Sarantos Tremulis, che solo per il nome non avrebbe dovuto tenere neanche una matita in mano, fu ingaggiato al posto di Lawson (che non era nel frattempo resuscitato) per completare i disegni della carrozzeria, operazione conclusa in soli sei giorni. Tucker approvò il progetto chiamando la vettura "Torpedo", contrazione della frase “torno a piedi”, e presentandola come prototipo il 19 giungo 1947. La grandiosa presentazione, al cospetto di migliaia di persone, rischiò di essere disastrosa in quanto il prototipo ebbe all'ultimo minuto problemi alle sospensioni ed al motore e Tucker dovette improvvisare una danza del ventre per due ore, mentre i suoi tecnici provvedevano alle riparazioni d'emergenza. Infine venne spinta a mano sul palco e accolta dagli applausi, anche se in realtà gli stessi furono rivolti più che altro al balletto di Tucker. Sul modello finale fu sostituito il motore, il raffreddamento ad acqua, la trasmissione (ben tre volte) e il faro centrale affetto da strabismo cronico. Per ottenere una buona aerodinamica la vettura era alta solo 1524 mm. e per facilitare l'accesso le portiere avevano l'apertura che continuava fino al tetto, una volta all’interno si potevano adagiare le chiappe su una comoda panca, sotto la quale la capra campa (e caga). Il posto di guida presentava una plancia con tutti i comandi raccolti intorno al volante ed il cruscotto aveva un sensuale profilo imbottito di silicone che continuava lungo le porte. L'ampio parabrezza era diviso in due parti ed era eiettabile in caso di incidente tramite una testata del conducente sull’asse centrale, infatti nonostante fossero presenti le cinture di sicurezza, nessuno le indossava: del resto, molti non le usano nel 2009 figuriamoci nel ‘48. Caratteristico era il faro centrale girevole, collegato tramite un cavo al pistolino del conducente in modo da individuare subito una bella gnocca di passaggio. Boicottato dalle industrie automobilistiche dell'epoca, Preston Tucker non riuscì ad avviare la produzione in serie di un'auto così innovativa da poter mettere in crisi il settore automobilistico americano di quegli anni. Travolto da problemi finanziari, dovuti anche al progetto eccessivamente perverso, fu costretto al fallimento e accusato di bancarotta fraudolenta nel 1949. Delle 51 Torpedo prodotte a Chicago nel 1948 solo 47 sono sopravvissute, compreso il primo prototipo detto "Tin Goose", conservato allo Swigart Antique Auto Museum in Pennsylvania, che è la vettura "numero zero"; le altre hanno una numerazione di serie dal n. 1001 al 1051. Il 7 giugno 2009 l’esemplare n° 1041 è stato battuto all’asta per oltre 850.000 $: era stato acquistato dal vecchio proprietario nel 1970 per soli 5.000 $! Una mega speculazione economica dovuta, oltre che al numero esiguo di esemplari totali, anche al film diretto da Francis Ford Coppola nel 1988: “Tucker, Un uomo e il suo sogno” che ha ridato nuovo prestigio e notorietà allo storico modello del ‘48 . Motivo per cui sto cercando di convincere Riccardo Scamarcio a realizzare un sequel di “Ho voglia di te” in cui i protagonisti, Babi e Step, trombano su di un vecchio treruote Ape Piaggio. Il fatto che io abbia in garage un Ape del ‘48 è puramente casuale.


tucker

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”Vendo modellino della Tucker sedan in perfette condizioni con portelline apribili, rotelline girevoli e fa’ broom broom. Confezione originale. Vendo causa regalo di merda fatto da mio zio che non ha capito che ho 30 anni e non gioco più co’ sta roba..”


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ARCA MASCOTTE

arca mascotte camper

ITALIAL’Arca Mascotte era un puttanaio viaggiante distribuito in esclusiva dalla Arca Camper S.p.A. de Roma e commercializzato nei primi anni ‘80 con un elegante slogan pubblicitario: “Qui se scopa e se rotta come fiji de ‘na mignotta”.
A metà strada tra un camper e un rifugio antiatomico, il Mascotte venne sviluppato sulla base del pulmino Fiat 900E Panorama, di cui ne conservava la meccanica, tramite la sovrapposizione di un container mercantile al suo telaio... et voilà: il Mascotte era bello che pronto.
fiat 900e panorama - autodimerda.itVenne sviluppato sulla base del pulmino Fiat 900E Panorama...

Ideale per una piccola gita in due o brevi chiavate lungo i cigli stradali, il mini camper dell’Arca non ebbe quel successo sperato nonostante le sue contenute dimensioni di 1.69 mt. in larghezza e 3.92 in lunghezza che gli consentivano di trovare sempre un posto anche nei camping più affollati (a condizione di esser riconosciuto come camper e non scambiato per cassonetto comune).
La dotazione interna comprendeva un tavolino ripieghevole plastificato, un comodo cucinino con lavandino, un frigobar, uno sportello di aereazione sul tetto contro peti inconsulti e una brandina militare anti-rinculo con ruota di scorta conficcata nel materasso. Nota negativa, l’assenza di una vera e propria toilet d’emergenza al suo interno: una grave dimenticanza dei progettisti, distratti  probabilmente dall’aspetto del veicolo: di cesso ne bastava già uno. L’unica via di fuga per i rifiuti organici era data da un vaso da notte posizionato al di sotto della seduta del passeggero, fungendo tra l’altro come sedile auto-riscaldante.
L’Arca Mascotte fu molto apprezzato dai puttanoni di tutta Italia che lo utilizzarono per l’esercizio delle proprie funzioni e per par condicio anche da viados e travestiti extracomunitari. Stranamente sembra che Arca al giorno d’oggi non abbia molto interesse nel rivalutare il veicolo negandone persino il concepimento e denunciando uno scambio d’identità: a loro dire la costruzione dell’ARCA Mascotte sarebbe attribuibile ad un certo signor Noè in previsione del diluvio universale, ma considerando l’affidabilità del mezzo forse sarebbe stato meglio affittare un gommone... e viva Dio!


dubito
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€ 2.500
VEDI L'ANNUNCIO IN FORMATO .PDF”Vendo Arca Mascotte 903 cc. anno 1981 a benzina + gpl. Possibilità di iscrizione all’ASL, il camperozzo necessita di manutenzione, revisione e disinfestazione. Assenza di infiltrazioni di acqua, ma non di infiltrazioni di barboni che lo usano sporadicamente come dormitorio..”


ARCA MASCOTTE



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WALLYSCAR IZIS



WALLYSCAR IZIS

TUNISIA Se pensavate che in Africa, il bellissimo continente 3°classificato nell’universo e non a caso definito “terzo mondo”, non ci fossero case automobilistiche in grado di produrre in serie un’autovettura.. ebbene, avevate ragione! La Wallyscar, con sede a Cartagine (Tunisia), in effetti non è proprio una fabbrica automobilistica, ma piuttosto uno stabilimento balneare che sarebbe dovuto servire come location per le nuove puntate della serie televisiva Baywatch; purtroppo durante il banchetto di benvenuto per gli attori del cast, Pamela Anderson si abbuffò di cous cous facendo esplodere la zizza destra, ritrovata giorni dopo sulle coste della Sicilia. L’annullamento del sequel non demoralizzò lo staff tunisino che continuò imperterrito a lavorare sulla vettura che doveva essere utilizzata dagli attori sulle morbide spiagge nordafricane. Il bel jeeppone da pappone WILLYS JEEPdella  Wallyscar si ispirava alla famosa jeep americana Willys della seconda guerra mondiale, cospargendo di merda 70 anni di storia e taroccandoci pure il nome. Presentata nel 2008 al Salone di Parigi in un angolino in castigo, la prima inedita vettura nordafricana costruita interamente in Tunisia della storia era proprio la Wallyscar Izis, dal nome della Dea egizia della fertilità Iside: giustamente, la mamma dei cretini è sempre incinta. Meno inedito invece è il motore di cui si avvale la curiosa jeeppa, un propulsore di 1.400 cc. di cilindrata in grado di erogare 75 cavalli di potenza di derivazione Peugeot. Nonostante le sembianze sembrerebbero quelle di un’ avventuroso fuoristrada, la Izis è un’auto interamente costruita in plastica che di certo non protegge al meglio; infatti ai crash test dell’ EuronCAP aveva ottenuto solo due stelle.. e una se l’era fregata dalla bandiera nazionale. Negli obiettivi della baita nordafricana c’è l’intenzione di aggiungere al porco macchine anche una versione elettrica e vendere almeno 500 veicoli all’anno: secondo me se ne vendesse anche 50, sarebbe tutto grasso che cola. Prodotta dall’esperto Zied Guiga, giovane tunisino diplomato all’alberghiero (non è una battuta) che anziché aprirsi il fast food in Tunisia decise, insieme al pizzaiolo di concepire la Izis, è posta attualmente in vendita a partire da € 11.000 grazie agli incentivi di rottamazione sul tuo vecchio cammello e disponibile presso le migliori oasi autorizzate nel deserto del Sahara.


wallyscar izis

wallyscar izis_ 
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wallyscar-gifANNUNCI DI MERDA:               € 10.800,00 
”E’ iniziata la vendita dei carretti Wallyscar a partire da 10800 €. Carrozzeria in composito e motore scomposto, incendio e furto compresi (la bruciamo noi dopo avertela rubata) . Per le tue scarrozzate in spiaggia o sugli scogli scegli un mezzo di tendenza.. Izis: vucumprà?” (vedi l'annuncio originale in .pdf)

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ALPINE A310 ..by Luciano De Dionigi

ALPINE A310 
LE VOSTRE RECENSIONI “Ovvero: come gettare in un pozzo nero anni di prestigio faticosamente conquistato.”

“Preambolo: nel 1963, quando vide la luce, la Porsche 911 non era la “supercar” d’oggigiorno ma una bella vettura sportiva, mossa da un onesto 6 cilindri boxer raffreddato ad aria, di 130 HP e con un prezzo base non proprio inavvicinabile. Nelle competizioni su strada e nei rally non stravinse in quanto dovette vedersela con altreALPINE A110 rivali  tra cui la nostra Fulvia HF e, soprattutto, con l’Alpine A110, una “belvetta” piccola e cattiva, non facile da domare ma agilissima, dalle linee tondeggianti e aggressive, con motorizzazioni (da non credere!) Renault. Per inciso, viene da pensare che “Mamma Renault”, in campo sportivo, abbia ben poco a che vedere con certe AdM appioppate al largo pubblico, e i successi in F1 lo dimostrano (Mentre le Porsche in F1 non brillarono). In sostanza non pare azzardato affermare che l’A110 fu una sportiva molto apprezzata tra gli specialisti.
I guai cominciarono quando si trattò di sostituire tale vettura con qualcosa di più “commerciale” e cioè l’A310, presentata nel 1971 al Salone di Ginevra come sostituta della gloriosa A110. Uno dei motivi del mancato successo dell’A310 fu l’“imborghesimento” – o, per meglio dire, “imbolsimento” - della vettura rispetto all’A110 e ciò fece storcere il naso agli appassionati, che oltretutto l'avevano attesa a lungo, infatti l’azienda aveva annunciato con un certo anticipo l'arrivo della nuova vettura. L’A310 proponeva linee completamente nuove rispetto a quelle arrotondate dell’A110. Era infatti caratterizzata dalle forme spigolose tipiche degli anni '70,  nei quali molte aziende fecero a gara nel proporre dissenteriche banalità spacciate per scelte “anticonformiste”.
I fari anteriori non erano più tondeggianti e ricoperti da carenatura sporgente, ma rettangolari e a filo con il muso, una tipica testimonianza dello stile dell’epoca, un’epoca in cui i designer si sforzavano d’essere originali a ogni costo col frequente risultato di perpetrare nefandezze estetiche. Posteriormente, il padiglione era anch'esso spigoloso e la coda era caratterizzata da un lunotto semicoperto dalla tipica "tegolatura" presente su alcune sportive dell'epoca, come per esempio le Lamborghini Miura  (Ehi, dico, la provocazione può anche starci ma “bestemmiare in chiesa” no!). Tale soluzione sarà però presto eliminata, a riprova che l’effetto sbornia si stava forse dissolvendo. Il look era reso cattivo (questo termine non è mio, io avrei usato il termine “demenziale”), in fiancata, da grossi parafanghi bombati, che fecero la fortuna di molti carrozzieri, in quanto invisibili in manovra con ovvie conseguenze.
Della sua predecessora, l’A310 riprende la meccanica delle ultime versioni, a sua volta ripresa dalla R16. Il motore era quindi un 4 cilindri da 1605 cc in grado d’erogare una potenza massima di 125 CV a 6000 giri/min, con una coppia motrice di 150 Nm a 5000 giri/min. La velocità massima sfiorava i 210 km/h. Il dato era leggermente peggiorato rispetto alla A110 (Pure... Anvedi ‘a fetecchia!), a causa dell'aumento di peso del corpo vettura. Il cambio era a 5 marce e i freni erano a disco sulle quattro ruote. Le prestazioni leggermente inferiori rispetto all’A110 costituirono un ulteriore colpo all’A310: la gente non la vedeva come un'evoluzione dell’A110, ma come una involuzione, tuttavia, visto quante ne ha combinate, si dubita che Mamma Renault abbia cacciato i responsabili a calci nel fondoschiena. Come non bastasse, nel 1973 l’A110 arrivò a vincere il Mondiale Rally e ciò fece sì che l'opinione pubblica si rivolgesse ancor più a favore della berlinetta anni '60 (Per la serie “Và avanti tu, che a me viene da ridere”). Nel 1973, l’A310 fu dotata dell’iniezione elettronica, presa dalla R17 Gordini (Toh, chi si vede: la fetecchia “minor” che dà una mano alla fetecchia “major”), così da far guadagnare in termini di linearità d’erogazione. La potenza aumentò leggermente, di soli 2 CV, a un regime di 6450 giri/min.
Per far fronte alla carenza di vendite, ne fu proposta anche una versione “Vorrei ma non posso”, equipaggiata dal 1647 cc da soli 95 CV, che però non portò grossi benefici dal punto di vista delle vendite; in proposito si bisbiglia che i responsabili volessero recarsi a Lourdes in incognito, ma poi non se ne fece nulla: troppa paura, nonostante i luoghi santi, d’essere identificati e malmenati. A causa di ciò, le vendite assai modeste spinsero la Renault ad acquistare l’Alpine e prenderne interamente la gestione (Per la serie “Peggio la toppa dello sbrego”).
Fu così che nel 1977 arrivò un restyling, in occasione del quale l’A310 perse il suo 1.6 a 4 cilindri, ritenuto inadeguato per una vettura del genere, e ricevette il PRV V6 da 2664 cc, che sull’A310 era in grado d’erogare 150 CV a 6000 giri/min, con un picco di coppia di 208 Nm a 3500 giri/min. Ciò era reso possibile da una profonda rivisitazione del tranquillo V6 da 125 CV preso dalla R30 (altro bel cassone semovente). La velocità massima era di 220 km/h, il che la poneva in concorrenza con la Porsche 911 (Troppo tardi, ormai lo sputtanamento era irrimediabile). Nonostante voci messe in giro per screditare ulteriormente l’A310, voci che volevano la vettura poco stabile, l’A310 seppe smentire tali malelingue, dimostrandosi sicura e maneggevole (Si dice peraltro che i giornalisti responsabili della smentita furono poi radiati dall’ordine, vero o falso?).
Per rilanciare l’A310 (aridaje, n’artra vòrta!), si pensò d’utilizzarla a partire dal 1978 nelle competizioni: in effetti, l’A310 riscosse anche diversi successi, come il Campionato Francese di Rally (vinto da Guy Frequelin nel 1977... capirai!), ma di fatto non riuscì a far breccia nel cuore degli appassionati. Nel 1982 arrivò una versione equipaggiata da un pacchetto "GT", comprendente cerchi maggiorati da 15 pollici e le solite, repellenti appendici aerodinamiche, di dimensioni ancor più repellenti.
Poco dopo arrivò una versione denominata “Boulogne” (Sòcc’mel!), equipaggiata dalla nuova evoluzione del PRV, della cilindrata di 2849 cc ed in grado di sviluppare 193 CV di potenza massima. L’A310 fu tolta di produzione alla fine del 1984.”

Recensione inviata da Luciano De Dionigi di Padova

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